Appunti relativi a "Dentro lo sguardo - il film e il suo spettatore - Viene trattato il testo filmico, la comunicazione e gli elementi interni al film. In particolare Casetti analizza il testo filmico in rapporto allo spettatore, ne prende in considerazione le funzioni e le varie interpretazioni.
Cinema
di Nicola Giuseppe Scelsi
Appunti relativi a "Dentro lo sguardo - il film e il suo spettatore - Viene trattato il
testo filmico, la comunicazione e gli elementi interni al film. In particolare
Casetti analizza il testo filmico in rapporto allo spettatore, ne prende in
considerazione le funzioni e le varie interpretazioni.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Semiotica dei media
Docente: Guglielmo Pescatore
Titolo del libro: Dentro lo sguardo - Il film e il suo spettatore -
Autore del libro: F. Casetti
Editore: Bompiani
Anno pubblicazione: 19861. Il film e il suo spettatore
Come dice il sottotitolo stesso del libro – Il film e il suo spettatore – sono appunto i rapporti che
intercorrono che vengono qui indagati. In particolare, l’idea fondante è che il film costruisce il suo
spettatore: segnalandone l’esistenza, assegnandogli un posto ben definito e facendogli seguire un tragitto.
Questo far dello spettatore una figura ben determinata e prevista mette allora in evidenza come sia il film a
costruire il suo spettatore, testualizzandolo, e se ne serve per autodefinirsi.
Ecco allora che il capire “chi guarda chi”, concetto classico caro alle grammatiche cinematografiche, viene
superato e ridefinito. Attraverso esempi concreti e servendosi dell’enunciazione, i quattro sguardi –
l'oggettiva, la soggettiva, l'interpellazione e l'oggettiva irreale – vengono posizionati su di un quadrato
logico che ne riesce a capire l'effettiva valenza, creando una vera e propria geografia del tu, situandolo di
volta in volta.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti2. La difficile posizione dello spettatore
Un piccolo nodo, tra l’intoppo e il garbuglio: è così che si presenta lo spettatore, il motivo d’un dubbio più
che un referente sicuro; nella critica, ad esempio, egli appare soprattutto come un dato di fatto, qualcuno di
cui non occorre dimostrare l’esistenza e di cui si può essere certi della realtà, tuttavia a volte la partita si
complica:
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Questo tipo d’atteggiamento ha dei precedenti nelle teoriche filmiche, dove la maggior parte dei discorsi che
tra gli anni ’10 e ’50 cercano di definire l’essenza del cinema o che comunque cercano di esplorare il
fenomeno, si riferiscono allo spettatore in maniera non problematica, dandone per scontati la presenza e il
profilo; è il caso ad esempio di:
- molte inchieste sul cinema in quanto arte di massa, che puntano a mettere in luce l’efficacia del mezzo più
che a riflettere sulle trasformazioni che investono la fruizione;
- molti interventi di ordine etico e politico, che portano a classificare i diversi film più che a interrogarsi su
cosa significhi assistere ad uno spettacolo;
- molte battaglie a favore ora della natura realistica dell’immagine, ora al contrario della sua dimensione
onirica, che servono a valorizzare questa o quella forma d’espressione più che a impostare un’analisi delle
varie posizioni in cui viene messo chi guarda.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti4. Le teorie sul film e lo spettatore
Non mancano tuttavia le voci dissonanti, tra cui:
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti5. Lo spetttaore: da dato di fatto ad oggetto di indagine
Successivamente, in occasione della svolta che caratterizza il dibattito sul cinema tra gli anni ’50 e ’70, si
assiste ad un rapido ricambio di coordinate:
- le definizioni “per essenza” vengono sostituite da ricerche “per modelli”,
- l’approccio sintetico e globale cede il posto ad interventi di tipo disciplinare,
- alla libertà nei prelievi viene preferito il rigore metodologico: insomma, le teoriche lasciano il posto alle
teorie;
- lo spettatore passa adesso da dato di fatto a oggetto d’indagine, e cioè qualcuno o qualcosa che viene
inquadrato tra i portati dell’esperienza e ricomposto nelle sue linee essenziali in rapporto agli strumenti e
agli scopi della ricerca.
La trasformazione ribalta le vecchie abitudini, rinnova le condizioni del gioco, ridisegna la mappa
dell’intero territorio; permette di valutare sia la crucialità di alcune esperienze(la filmologia) sia la prudenza
di altre(la critica); giustifica l’entrata in campo di due fatti inediti:
- una distribuzione ineguale dei rinvii allo spettatore
- una molteplicità dei profili messi in luce.
Quest’ultimo dato è essenziale, spiega forse meglio di altri la logica in base alla quale viene articolato il
dibattito; infatti per rendersi conto delle aree che ormai compongono il paesaggio basta passare in rassegna i
modi in cui le diverse scienze impostano il loro impatto con lo spettatore. Ad esempio:
- per la psicologia, attenta all’attività percettiva e ai processi cognitivi, egli è il perno attorno a cui ruota la
situazione filmica;
- per la sociologia, interessata alle interazioni e ai comportamenti, egli è uno dei fattori dell’istituzione
cinematografica;
- per la psicanalisi, sollecitata da un funzionamento in parte analogo a quello del sogno, del feticismo, del
voyeurismo, egli è un componente del dispositivo filmico;
- per l’economia, intenzionata a seguire i percorsi di una merce, egli è il punto di congiunzione di bisogni e
di consumi;
- per la semiotica, sedotta dalle architetture simboliche e dai flussi comunicativi, egli è uno dei poli del
circuito delle parole.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti6. Lo spettatore come decodificatore
C’è una frattura che attraversa l’intera superficie, una linea di confine che spacca a metà il territorio; si
pensa allo spettatore come a:
- un decodificatore: qualcuno che deve e sa decriptare un gruppo di immagini e di suoni, un visitatore attento
che a passo a passo recupera il senso della rappresentazione, uno snodo che al termine del circuito riporta in
chiaro dei segnali cifrati.
- un interlocutore: qualcuno a cui indirizzare delle proposte e da cui attendere un cenno d’intesa, un
complice sottile di quel che si muove sullo schermo, un partner cui è affidato un compito e che lo esegue
mettendoci del suo.
La prima di queste figure si impone lungo gli anni ‘’60 nell’ambito della semiotica d’ispirazione
strutturalista; si afferma come una presenza precisa e tuttavia marginale, e come funzione specifica e tuttavia
limitata: in pratica, gli si concede soltanto di ripercorrere una struttura già del tutto fissata per prendere atto
di ciò che gli è messo di fronte, e di riappiccicare dei codici già in precedenza decisi per afferrare ciò che gli
viene inviato.
A partire dai primi anni ’70 il desiderio di emendare le debolezze insite in questa figura diventa sempre più
diffuso ed esplicito, e le strade perseguite sono soprattutto due:
- una che punta a dotare di un maggior spessore il momento dell’ascolto,
- l’altra che mira invece a cercare le tracce dell’ascoltatore già in quanto gli viene porto.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti7. Il dibattito sullo spettatore
Si può cogliere bene questo doppio percorso, peraltro ricco di sovrapposizioni e incroci, specialmente nel
dibattito sulla letteratura: basta pensare
- da un lato all’idea che leggere è riscrivere o all’idea che leggere è interpretare,
- dall’altro lato all’emergere della nozione di lettore implicito o alla scoperta in molti scritti di un’immagine
del loro possibile pubblico; ma questo doppio cammino attraversa anche gli studi sul cinema: è sufficiente
ricordare
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti8. Lo spettatore come beneficiario del film
I contributi cui si è fatto cenno non portano solo a correggere qualche particolare o a integrare qualche dato,
ma a dipingere una nuova figura e inscriverla in un nuovo campo teorico: al decodificatore si sostituisce così
l’interlocutore, e alla semiotica strutturalista quella di ispirazione testualista.
La trasformazione, proprio perché coinvolge sia l’oggetto dell’indagine sia il taglio dell’analisi, opera a più
livelli e a più piani: se prima si pensava a qualcuno ai bordi della rappresentazione, adesso si pensa a
qualcuno chiamato ad annodare i fili della trama: un vero beneficiario, visto che è per lui che si intreccia la
tela, e un polo obbligato, visto che la sua cifra è già ricamata nel tessuto.
Inoltre, col mutare del profilo dello spettatore muta contemporaneamente il modo d’intendere il suo
intervento: se prima si credeva che per affrontare le immagini e i suoni bastasse il possesso di un cifrario,
adesso si crede necessaria anche una conoscenza in grado di padroneggiare l’intera situazione, insomma un
sapere aperto, che a una sintassi e a un lessico affianchi un’enciclopedia.
Dunque non si ragiona più in termini di ricorso ad un codice, ma in termini di competenza.
Infine, col mutare del profilo dello spettatore muta anche il modo di intendere il suo terreno d’esercizio: se
prima si vedeva in ciò che appare sullo schermo una disposizione ordinata di elementi, valutabili in rapporto
al peso di ciascun componente e alla linea dell’intero complesso, adesso si vede un organismo che nello
stesso tempo subisce ed influenza l’ambiente.
Nella rete di complicità che legano la figura e lo sfondo, il parallelismo tra spettatore e film è forse quello
che risalta di più: alla percezione di un’iniziativa da parte del personaggio corrisponde la scoperta di un
luogo percorribile, ad un impegno che ci si accorge essere in prima persona corrisponde la messa a fuoco di
una macchina che sollecita e registra l’intervento altrui, a un convenuto che si rivela giocatore provetto
corrisponde una smazzata che offre molte carte vincenti; è significativo del resto che la maggior variazione
terminologica riguardi proprio l’oggetto audiovisivo: non si parla di opera o di messaggio, ma di testo.
Qualcuno potrebbe osservare che è perlomeno azzardato imporre al cinema il nuovo orientamento
disciplinare, vista la separazione che c’è tra lo schermo e la sala: sarebbe insomma scorretto parlare di
interlocutore e di testo, dal momento che il film non guarda fuori di sé, e chi guarda è fuori del film; ma è la
macchina cinematografica in se stessa, al di la dei singoli ingranaggi, a disporsi come una trappola pronta a
catturare chiunque entri nel suo raggio d’azione: l’esibizione di un mondo fa aggio sull’operare di una
pulsione scopica, la riproposta di un frammento di vita risponde a dei bisogni profondi, e dunque ad ogni
istante il film pone davanti a sé un punto in cui raccordare le proprie mosse e in cui cercare una replica; il
film insomma si dà a vedere1, come meta da raggiungere o come sponda su cui rimbalzare.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti9. La soggettività del linguaggio dello spettatore
Il medesimo tragitto vale anche per lo spettatore, bisogna solo invertire il senso di marcia: ad esempio
quando
- connette degli indizi sparsi per ricomporre un carattere o per ricostruire un luogo (progressione con cui si
vede prender quota un personaggio, o al cumulo di dettagli a partire dai quali si completa uno spazio),
- fornisce una cornice ai dati per mettere in chiaro il loro vero valore (la capacità di un’etichetta di genere –
o istituzione cinematografica – di suggerire come van capite le cose),
- ripercorre le linee del quadro per cogliervi l’essenziale e scartare l’accessorio (la flessibilità dell’attenzione
nel soffermarsi su alcune figure e nello scivolar via da altre – fenomeni di focalizzazione in particolare),
- riempie i buchi del racconto per restituire alla vicenda tutta la sua complessità (la frequenza con cui il non
visto viene chiamato a spiegare quel che è apparentemente palese – come nel fuori campo o nelle ellissi
temporali).
Lo spettatore insomma si impegna a guardare: alla disponibilità del mondo sullo schermo risponde con la
propria vocazione, alla proposta di una destinazione risponde con le proprie responsabilità; ne deriva
un’indicazione essenziale: parlare di interlocutore e di testo non è rischiare il paradosso, ma è inseguire per
davvero i fatti, e non è nemmeno optare per un indirizzo di studi dall’incerta applicazione, ma è scegliere
l’approccio più adeguato.
Prendendo le nozioni di testo e di interlocutore nella loro valenza più ampia, prescindendo cioè dal loro uso
nel campo del cinema, la loro introduzione mette sul tappeto almeno due importanti questioni: la
soggettività del linguaggio e il metodo d’indagine da adottare.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti10. La natura di fondo dello spettatore/interlocutore
Nel suo darsi il testo dimostra non solo d’esser in grado di far cenno a qualcuno, ma anche d’aver bisogno di
colui al quale si rivolge: mai come qui un segno d’intesa va ritenuto anche una richiesta d’aiuto; ma qual è
l’effettiva consistenza di questo complice necessario, la sua natura di fondo? La risposta sembra dover
imboccare due strade giustapposte: si può pensare all’interlocutore:
- come a un partner che il testo trova ai suoi bordi, la dove i segni cedono il passo alla vita – e quindi
qualcuno in carne ed ossa –;
- come a un contorno che il testo disegna entro i suoi stessi margini, sulla pagina, sulla tela, sullo schermo –
e quindi una realtà fondamentalmente simbolica.
Se optiamo per la prima soluzione, riusciamo a fare bene i conti con le attitudini che il testo richiama e con i
comportamenti che esso innesca, riusciamo insomma ad avere una prova circostanziata del fatto che la
lettura e la visione sono il luogo di un’attività piena, più che di una mera adeguazione al già detto, al già
scritto, al già mostrato; ma se questa è la scelta, bisognerà anche riconoscere che esiste dell’altro, ovvero un
progetto collocato magari tra le righe che prepara e sostiene le regole del gioco, che inscritto nel testo ne
prefigura la destinazione e quindi ne costituisce già un modello d’ascolto. Si dovrebbe allora mutare opzione
e lavorare sulla piega dei segni?
Vedere l’interlocutore in un contorno disegnato dal testo porta certo a dei vantaggi: permette di scoprire dei
fili sommersi ma non per questo meno netti e di notare delle figure dallo statuto un poco speciale
nell’ambito del discorso, insomma permette di seguire dappresso il lettore implicito e l’immagine del
pubblico; tuttavia anche questa scelta si rivela a sua volta incompleta: mentre porta a indagare su chi si
muove al centro del quadrato, non registra chi se ne sta appostato ai margini, mentre si affida a degli indizi e
a dei simboli trascura e perde il loro possibile riscontro.
Il dilemma tra i due itinerari sembra allora obbligare ad una sorta di circolarità; se questa è la strada, il
bisogno di un interlocutore da parte di un testo va inteso sia come la ricerca di una presenza da riassorbire
poi nel gioco, sia come la proposta di un disegno da far valere poi come guida alla fruizione.
Tale circolarità ci ricorda da vicino il modo in cui viene affrontata da Benveniste la figura del locutore: l’io è
la traccia di una presenza concreta – un rinvio a chi si sta impadronendo delle virtualità della lingua – e
insieme una pura marca grammaticale – ciò che segnala il farsi del discorso, il suo essere in funzione – , un
segno vuoto a disposizione di chi muove le carte e insieme un momento semplicemente autoriflessivo
all’interno del testo.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti11. L'approccio dell'interlocutore
Passando dal locutore all’intelocutore(dall’io al tu), i termini del problema rimangono fondamentalmente gli
stessi: abbiamo sempre a che fare con un soggetto, collocabile questa volta a valle anziché a monte dell’atto
di parola, e con un soggetto pronto a ribadire i propri caratteri di fondo, visto che appare
- quale costruttore del discorso – non perché si impadronisce delle virtualità della lingua però, ma perché
porta a compimento le scelte effettuate –
e contemporaneamente
- quale portato del discorso – non nelle vesti di principio d’ordine, ma in quelle di una direzione d’ascolto –.
Siamo di nuovo di fronte ad un protagonista quindi, che opera tanto da padrone del gioco quanto da vittima;
tuttavia, nel momento in cui la circolarità tra presenza concreta e costrutto simbolico trova dei riscontri
anche altrove – nel campo del locutore, e soprattutto nella definizione della soggettività – c’è da chiedersi se
e come essa debba specificamente operare.
Essa circoscrive e specifica la precedente:. Le strade che ci si aprono davanti sono di nuovo due:
- da un lato abbiamo un approccio generativo, pronto a evidenziare i passaggi grazie a cui un testo si
costituisce e i modi in cui definisce le proprie condizioni d’esistenza, compresa quella componente che è il
suo fruitore;
- dall’altro lato abbiamo un approccio interpretativo, attento a sottolineare le mosse che un fruitore compie
nell’accostarsi ad un testo, e in particolare le procedure a cui ricorre per disvelarne lo spirito e la lettera.
Le due strade si oppongono in profondità:
- da una parte si segue il progressivo dispiegarsi del discorso a partire dalle sue strutture soggiacenti fino alla
sua manifestazione, con la contemporanea formulazione del suo quadro di manovra – quindi chiedendosi
come il testo costruisca il suo interlocutore –;
- dall’altra si mette a fuoco chi del discorso si fa carico, a partire dalla ricognizione che egli compie sui
significati fino alla riconquista del senso globale dell’opera – quindi chiedendosi come l’interlocutore
costruisca o ricostruisca il suo testo –.
Non è difficile cogliere delle due strade anche i limiti intrinseci:
- per la prima ciò che il testo stabilisce di diritto finisce col valere di fatto,
- per il secondo approccio invece quel che la lettura o la visione pongono, è.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti12. Un'ipotesi di interazione tra film e spettatore
Certo, le due strade non arrivano sempre a simili risultati: esse prevedono più uno svincolo di cui
approfittare, ma percorsi fino in fondo i due itinerari non possono che portare ai punti ciechi di cui si è detto,
e cioè l’uno alla cancellazione dell’effettivo intervento del fruitore, l’altro alla cancellazione delle strutture
cogenti del testo. Di fronte a questa doppia evacuazione sarebbe ovviamente sbagliato pensare a delle
concessioni reciproche: i due approcci van tenuti divisi non tanto per rispetto alle scuole, quanto per
diffidenza nei confronti di ogni eclettismo; dividere comunque non significa isolare: una volta ratificata
l’esistenza di due strade il problema sarà anche quello di costruire un effettivo gioco di fronteggiamenti, che
servirà a precisare metodi e obiettivi, impegni e limiti, sovrapposizioni e incompatibilità.
In ciò che segue si cercherà di capire come il film costruisce il suo spettatore, piuttosto che l’inverso,
mettendo a fuoco il lavoro del testo, più che degli atti di fruizione correnti; a partire da qui si tenterà di dare
un senso a tre affermazioni correnti, all’idea che il film:
- disegni il suo spettatore; individuando i modi in cui un testo mette preventivamente in vista il proprio
interlocutore, attraverso dei semplici cenni o grazie ad un’aperta esibizione;.
- gli dia un posto; individuando i modi in cui un testo gli assegna un punto da cui seguire quanto viene
esposto, dandogli una collocazione nello spazio ma anche sul quadrante delle conoscenze e delle passioni.
- gli faccia fare un tragitto; individuando i modi in cui un testo lo spinge a compiere delle ricognizioni,
impegnandolo a riconoscere i termini della proposta e insieme a riconoscersi quale suo destinatario effettivo.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti13. Il rapporto tra testo e contesto filmico
Il vedersi vedere, le disposizioni geografiche e affettive dello spettatore, e le complicità che il film
intrattiene con il suo potenziale fruitore, così come si disegnano sullo schermo, saranno allora i tre temi
attorno ai quali ruoterà l’analisi; dunque il film costruisce il suo spettatore: come ne da conto, gli fissa un
posto, gli fa seguire un tragitto.
La constatazione di come il dentro e il fuori testo confluiscano, e alla fin fine si annullino, sarà sintomatica;
insomma toccherà a queste questioni di sfondo disegnare l’orizzonte su cui ci muoveremo. Chiedersi in che
maniera il film disegna il proprio spettatore, ne fonda la presenza, ne organizza l’azione, insomma in che
maniera dice tu, significa mettere a fuoco quanto alla pragmatica interessa, e cioè i rapporti tra testo e
contesto; ma se di pragmatica si tratta, essa qui non si vuole certo risolvere in pura semantica – ciò che il
testo dice, e anche ciò che di esso si fa – , né in semplice descrizione delle forme di impatto e dei possibili
effetti – ciò che del testo si fa, e anche ciò che esso è –: la costrizione di un dentro e un fuori, costantemente
interagenti e pronti a dissolversi l’uno nell’altro, impedirà infatti troppe riduzioni di campo.
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° l’avvio in piano sequenza di Riso amaro:
Un uomo in P.P., rivolto alla m.d.p., elenca alcuni dati sulla coltivazione del riso nell’Italia settentrionale;
una frase(“Qui Radio Torino”) e un carrello indietro rivelano che si tratta di uno speaker radiofonico che dal
tetto di un vagone ferroviario racconta in diretta l’arrivo delle mondine a un centro di smistamento; una
panoramica scopre un ampio tratto della stazione con il via vai delle mondariso tra i binari, mentre la voce
dello speaker ormai fuori campo intervista una ragazza; il movimento di macchina continua in una gru verso
il basso fino ad inquadrare due uomini(che dal dialogo verremmo a conoscenza siano poliziotti che danno la
caccia ad un ricercato) che parlano tra loro.
° l’inquadratura che apre Il re dei giardini di Marvin:
Un uomo in P.P., con gli occhi alla m.d.p., racconta un’avventura della propria infanzia; la narrazione
prosegue tra lunghe pause, a metà tra la confessione e lo scavo nella memoria; qualche gesto dell’uomo
rivolto verso lo spazio off, una luce rossa intermittente e un cambio di campo ci fanno scoprire che siamo
nella sala trasmissione di una stazione radio; quel che l’uomo ha raccontato in prima persona è
probabilmente un’invenzione per trattenere gli ascoltatori.
Se c’è qualcosa che caratterizza queste due aperture di film, è che entrambe si rivolgono direttamente a quel
che dovrebbe essere il loro spettatore, guardandolo e parlandogli dallo schermo, quasi a volerlo invitare a
prendere parte alla vicenda. Sia l’una che l’altra tentano un gesto di interpellazione, e cioè chiamano in
causa qualcuno affermando di riconoscerlo e chiedendogli di riconoscersi quale proprio interlocutore
immediato, e lo fanno attraverso uno sguardo e delle parole in macchina1, e andando incontro ad alcuni
rischi, dato che mettono in campo un procedimento che viene tradizionalmente considerato come:
- Punto di incandescenza. Infatti, qualunque siano i motivi che li determinano, gli sguardi e le parole in
macchina hanno il potere di accendere le strutture portanti di un film: sia perché arrivano ad indicare ciò che
viene solitamente nascosto; sia perché arrivano ad imporre l’apertura al solo spazio irrimediabilmente altro,
all’unico fuoricampo che non può esser trasformato in campo, alla sala di fronte allo schermo; sia perché
arrivano a operare uno strappo nel tessuto della finzione, grazie all’emergere di una coscienza
metalinguistica che svelando il gioco lo distrugge.
- Punto di interdetto. Proprio perché rivelazione di un presupposto taciuto e da tacere, perché tentativo
indebito di invadere uno spazio separato, perché lacerazione di una trama da conservare intatta, gli sguardi e
le parole in macchina vengono percepiti come infrazione di un ordine canonico.
Sembra dunque che l’interpellazione non convenga al normale andamento della comunicazione
cinematografica, tuttavia un simile divieto non si manifesta in modo costante; esso varia ad esempio in
relazione:
- alle forme che assume l’interpellazione: lo sguardo in macchina è considerato con più cautela di una
didascalia o di una voce off che si rivolgono ad uno spettatore per informarlo, sollecitarlo, esortarlo;
- ai luoghi in cui l’interpellazione appare: a livello di generi, di regimi discorsivi, e di mezzi impiegati.
Siamo dunque di fronte ad un piccolo giallo: abbiamo due brani che chiamano in causa lo spettatore nella
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntimaniera più diretta possibile, e scopriamo dapprima che i meccanismi messi in opera sono marcati da un
interdetto, poi che l’interdetto funziona quando vuole.
Cominciamo col dire che davanti a questo apparente capriccio le motivazioni che avevamo iniziato a dare, e
che riprendevano quelle solitamente date, non bastano: per capire se, quando e perché viene chiamato in
causa lo spettatore, o a quali condizioni gli viene assegnato uno spazio d’azione, non è sufficiente riferirsi
- a un lavoro che il film tenderebbe a negare,
- o a un luogo che il film tenderebbe ad escludere,
- o ad un personaggio che il film tenderebbe a nascondere;
Bisogna invece rinviare a un terreno più complessivo, quello dell’enunciazione cinematografica, cercando
qui un principio di spiegazione.
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Con enunciazione si indica la conversione di una lingua in un discorso, e cioè il passaggio da un insieme di
mere virtualità a un oggetto concreto, in quanto realtà percettibile, e situato, in quanto cosa che appare nel
mondo: l’enunciazione cinematografica è quindi l’appropriarsi e l’impadronirsi delle possibilità espressive
offerte dal cinema per dar corpo e consistenza ad un film – il rendere funzionante la lingua attraverso un atto
individuale di utilizzazione. Questo gesto fissa le coordinate del discorso filmico commisurandole
direttamente a se stesso: l’enunciazione infatti costituisce la base a partire dalla quale si articolano persone,
luoghi e tempi del film, offrendo il punto zero – l’”ego-hic-nunc”, cioè il suo chi, dove e quando – rispetto a
cui vengono distribuite le diverse parti in gioco – le persone possono strutturarsi in io/tu/egli; i luoghi in
qui/lì/altrove; i tempi in adesso/prima o dopo/allora – .
Dettagliamo i percorsi fin qui solo abbozzati seguendo i profili delle persone: sia perché si tratta di un nodo
essenziale, sia perché è in questo spazio che si gioca il destini dello spettatore.
L’enunciazione, e con essa ciò che possiamo considerare il suo soggetto, non si presentano mai in quanto
tali:
- l’enunciazione, la si voglia considerare un’istanza di mediazione che assicura il passaggio da una virtualità
ad una realizzazione, o la si voglia considerare un atto linguistico che assicura la produzione di un discorso,
si da a vedere solo nell’enunciato di cui è il presupposto1;
- il soggetto dell’enunciazione, lo si voglia ricondurre ad una semplice operazione, o a una qualche entità
empirica, si da a riconoscere solo per tracce, solo per una serie di emergenze interne al film.
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In cambio c’è sempre qualcosa nell’enunciato che ce ne riporta l’azione e che in un questo senso ce ne
attesta la presenza1; infatti c’è almeno un elemento che rinvia all’enunciazione e al suo soggetto e che
appunto non abbandona mai il film: il punto di vista da cui si osservano le cose. Come semplice segno di un
impadronimento o di una conversione, come semplice attestazione dell’affermarsi di un soggetto
dell’enunciazione, questo punto di vista può essere riportato ad almeno due cose, e cioè
- sia alla collocazione che viene data alla m.d.p. quando filma,
- sia per converso alla posizione ideale in cui è messo chi guarda la scena proiettata sullo schermo.
Una simile alternativa ha radici profonde: prima del rinvio ad una apparecchiatura tecnica o a una
dislocazione ipotetica, essa comincia nel momento in cui l’enunciazione assume il proprio enunciato quale
oggetto da trasferire, indirizzandolo verso un punto differente da quello in cui l’ha costituito, e quindi
allineandolo al proprio interno un appropriarsi e una destinazione; o nel momento in cui l’enunciazione è
investita da un campo modale, grazie a cui si può distinguere un
- “far essere l’immagine”, l’atto di scorgere;
- un “far far essere l’immagine”, l’atto di mostrare.
Abbiamo dunque una divisione di fronte, una doppia polarità, una doppia attività, che porta il soggetto
dell’enunciazione a scindersi divenendo rispettivamente enunciatore ed enunciatario.
I soggetti dell’enunciazione, oltre a fornire un attestato della loro presenza – fornirlo al film in quanto
discorso, o se si vuole in quanto testo1 – , possono anche uscire allo scoperto ed offrire un’esplicita guida
alle immagini e ai suoni; in alcuni casi cioè essi arrivano a puntare non solo a una generica affermazione, ma
anche ad una evidente installazione nell’enunciato, e le loro marche arrivano così a segnalare non solo il
costituirsi di un discorso in una qualche circostanza, ma anche quale discorso in quale circostanza di viene
costituendo.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti17. L'enunciazione del film
Ecco allora l’apparizione di deittici, ecco la riproduzione dei passi dell’enunciazione in altrettanti passi
dell’enunciato (ad esempio i gesti di base dell’appropriarsi e del destinare si traducono nel testo in un
intreccio di intenzioni e scopi, con l’effetto di dinamizzare il discorso,; o si traducono in una sottolineatura
dei punti di partenza e di arrivo, con l’effetto di strutturare una certa linearità1), ecco infine l’ampio campo
dei processi di figurativizzazione e di tematizzazione attraverso cui l’enunciazione si traveste e si cala
nell’uno o nell’altro degli elementi che popolano il film (tutto ciò che incarna, in senso spesso letterale,
un’operazione linguistica: occhi onnipresenti, spettacoli che devono andare in scena, voyeur e spie, fantasmi
e doppi, azioni che simulano comportamenti della cinepresa, movimenti di macchina che assumono
andamenti umani, etc.). Lungo tutte queste tappe del percorso, i soggetti dell’enunciazione paiono cercare
dei motivi di sviluppo, quasi a voler diventare, da realtà identificabile solo per tracce, oggetti pienamente
trattati dal film.
Si può dire che se il tragitto cui abbiamo accennato viene portato a compimento, si crea una sorta di intimità
tra i due termini da cui siamo partiti: abbiamo infatti
- un enunciato che prima di farsi carico di qualunque altra cosa ripercorre, esplicitandone andamenti e
meccanismi la propria enunciazione(enunciato enunciazionale);
così come abbiamo
- un’enunciazione che cerca di mostrarsi per quello che è nell’enunciato di cui essa è il
presupposto(enunciazione enunciata).
Per quanto esista tra i due termini una zona invalicabile, è come se l’enunciazione si fosse completamente
insinuata nell’enunciato; ma le cose possono anche disporsi diversamente:
- talvolta perché il tragitto non è percorso del tutto – e le marche dell’enunciazione restano sospese, con il
discorso che prosegue senza dar conto del gesto che l’ha costituito , se non portando il fatto d’essere
costituito come sola testimonianza del processo che gli ha dato esistenza e consistenza –,
- talvolta perché il tragitto viene percorso in un certo senso troppo – e le marche dell’enunciazione
rimangono invisibili perché il racconto le ha completamente riassorbite, riportandole alla propria logica,
facendone un elemento del proprio paesaggio –.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti18. Il rapporto tra enunciato ed enunciazione nel film
Il corpo del film si trova allora a custodire una sorta di segreto,
- sia a causa di un presupposto che rimane taciuto,
- sia a causa di un indizio che subisce un eccesso di travestimento;
In ogni caso si produce un esito che è assai lontano da quello visto in precedenza:
- l’enunciato non rende più conto di se stesso, ma si preoccupa solo dei propri contenuti: enunciato
enunciativo;
- l’enunciazione non cerca più di rendersi in qualche modo protagonista, ma si ritira di buon ordine dietro le
quinte: enunciazione sfuggente.
Un riscontro a questi andamenti si trova riflettendo sul diverso trattamento cui può andare incontro
l’enunciatario: basta disporre da un lato certi appelli allo spettatore e dall’altro la maggioranza dei film
narrativi.
Una tale divisione di campo evoca altre antinomie: non tanto la distinzione platonica tra diegesis e mimesis
o quella jamesiana tra narrare e mostrare, quanto piuttosto la distinzione tra piano discorsivo e piano storico
o quella tra commento e racconto, con cui si oppone
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti19. Il ruolo dell'enunciatario nel film
È sullo sfondo di tali articolazioni che si può misurare l’effettivo rilievo di ciascun elemento
dell’enunciazione; prendiamo di nuovo l’enunciatario: la sua presenza può essere valutata sia in assoluto,
quando un film parla apertamente di sé o quando al contrario glissa sull’argomento, sia attraverso dei
confronti, quando nel film si fronteggiano forme diverse.
Comunque, qualunque sia il risultato che si raggiunge e qualunque siano le misure messe in campo,
l’enunciatario in un film c’è: evidente o implicito, esso costituisce una delle prime incisioni che a partire
dall’enunciazione accompagnano il testo in tutto il suo sviluppo; è lo spazio di un ruolo,
- sia nel senso di una capacità di agire sul testo,
- sia nel senso di una capacità di farsi carico di ciò che sul testo agisce
Un ruolo sopra il quale si innesterà un corpo, in un incontro che darà l’avvio a ciò che di solito si designa
come azione comunicativa.
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Chiusa questa lunga parentesi sull’enunciazione, possiamo ora tornare ai problemi di partenza: due sequenze
filmiche d’apertura in cui si guarda lo spettatore direttamente negli occhi, tramite l’interpellazione. In
rapporto al quadro appena delineato lo sguardo in macchina e più in generale l’interpellazione possono ben
apparire come un caso di enunciazione enunciata: le coordinate che situano un film a partire dalla sua
enunciazione non solo si inscrivono in esso, ma vi diventano anche dei segni espliciti e portanti; in
particolare la destinazione si manifesta nel gesto di rivolgersi a qualcuno, e il qualcuno a cui si rivolge si fa
meta avvertibile. Non ci resta che ripercorrere passo dopo passo i nostri brani.
Da un lato notiamo che nelle nostre due sequenze l’enunciatario assurge a una sorta di pienezza di vita: si
afferma e si installa nell’enunciato, nella forma di una destinazione palese, senza tradire con questo la
propria identità; emerge cioè la dove le sue tracce si possono cogliere apertamente anche se non sono
ricoperte da una figura, e precisamente sulla direttrice di uno sguardo che oltrepassa lo schermo, nel campo
in faccia a quello inquadrato: per intenderci, in uno spazio certo pieno, ma di cui non si danno i singoli
contorni, e nel quale egli può operare per quello che gli compete, come puro punto di vista; nello stesso
tempo le due sequenze arrivano a caratterizzarsi per le forme del commento, e non del racconto: quasi a
voler ripercorrere gli andamenti del dialogo, mettono subito le carte in tavola, e adottano l’io e il tu.
Dall’altro lato, però una tale caratterizzazione appare ben presto come provvisoria, non tanto per
l’impossibilità del cinema di percorrere certi sentieri fino in fondo, quanto perché la strada imboccata dai
due film punterà ad un nuovo obiettivo; lo si poteva sospettare fin dall’inizio, dal momento in cui i due
uomini in P.P. recitano la alla m.d.p. delle storie, il sospetto si rafforza poi quando ci si accorge che i due
uomini parlano alla radio, e poi trova conferma nell’intervento di piccole svolte:
- gli sguardi e gli ammiccamenti a lato che puntano a ridurre lo spazio off a spazio diegetico,
- il tratto finale di un movimento di macchina che scopre due personaggi in P.A. già del tutto impregnati di
finzione,
- i ritmi e le esitazioni nella recitazione.
Da questo punto in poi le marche dell’enunciazione torneranno ad operare in silenzio, ogni elemento a vista
servirà a far funzionare una storia, e la forma che si imporrà sarà quella del racconto puro; ma lo sguardo e
le parole in macchina non saranno passate invano: nessun controcampo mostrerà colui al quale i personaggi
si sono rivolti (neppure quel controcampo sui generis, in cui si vedono gli ascoltatori della trasmissione
radiofonica) e potremmo sempre contare sull’esistenza di qualcuno che vive anche senza contorni: un punto
di vista, il segno di un enunciatario.
Le nostre sequenze inaugurali dunque sembrano stabilire, assumendo la funzione di ciò che spesso e bene
apre un discorso, e cioè di una dedica; esse sanno ciò che conta, e lo vogliono far notare:
- sanno che è l’enunciazione che fissa e coordinate di un film,
- sanno che è l’enunciato che accoglie le tracce dell’enunciazione fino a fare di ciò che lo situa una delle
proprie direttrici,
- sanno che è il ritmo di un racconto che cancella le tracce dell’enunciazione nell’enunciato;
Ma sanno anche che è pur sempre un punto preciso quello che si da a vedere: palese o occulto, emergente o
sommerso, è il luogo dell’affermazione e dell’installazione di un enunciato, è l’ambito in cui un ruolo si
salderà ad un corpo, a definire comportamenti e profili di ciò che si chiama lo spettatore.
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